1. PLUF.

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Una storia da raccontare, dedicata ai bambini che frignano sugli aerei.

Stavo andando a Londra e, mentre aspettavo di imbarcarmi, ho sentito le urla di una bambina, ancora ai controlli dei passaporti: ed ecco arrivare un padre frastornato con i due figli: un maschio e una femmina. Per tutto il tempo i due virgulti si sono dati il turno, senza un attimo di tregua, a improvvisare capricci, l’uno più sonoro dell’altro. Così, invece di raccontare una nuova avventura di Diana, come era nei miei programmi, ho immaginato una storia che potesse calmare quei due bambini pestiferi. La dedico a quei padri – o anche alle madri, ma i bambini in genere sono meno capricciosi se la madre é presente- che si trovano a gestire i figli urlanti durante un volo aereo.

La storia del giorno: martedì 18 novembre.
William Turner: Mare con tempesta in arrivo.

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Nacque in una notte nuvolosa: emise il suo primo vagito e fuori iniziò a scendere una pioggerella sottile, che si interruppe non appena la sua mamma lo strinse fra le braccia.
Fu chiamato Pluf.

I suoi genitori ben presto si accorsero che ogni volta che Pluf piangeva, dopo poco le gocce cadevano dal cielo.
Per fortuna Pluf era un bambino tranquillo e raramente faceva i capricci, preferiva contrattare per ottenere ciò che desiderava.

Un giorno, però, la mamma decise di iscriverlo a un corso di ginnastica perché lo zio, scrutando attentamente Pluf, aveva osservato:
– Questo bambino cresce troppo e si muove troppo poco: deve frequentare una palestra per rafforzare i muscoli e l’ossatura! –

Il suo suggerimento sarebbe stato anche giusto, peccato che Pluf odiasse sudare.
Già al primo giorno il bimbo comprese che non è possibile saltare, piegarsi o sollevare oggetti senza grondare. La mamma ogni volta alleggeriva il suo abbigliamento, ma Pluf tornava sempre bagnato come se fosse andato in piscina.

Così, un martedì pomeriggio, Pluf si cimentò nel suo primo capriccio: quando arrivò lo zio per accompagnarlo alla lezione delle quattro, il bambino puntò i piedi e inizió a strillare. Lo zio Angelo tentò di trascinarlo con sè e allora Pluf si gettò per terra sprizzando grosse lacrime.

Lo zio era un omone grande e grosso e non si fece certo intimidire dalle urla del nipote, ma, improvvisamente, si udì un tuono, immediatamente seguito dallo scrosciare della pioggia.

Angelo aveva una grande passione: le auto decappottabili e in quel momento il suo gioiello più bello era parcheggiato in strada, completamente esposto alle intemperie.
Lo zio abbandonò il nipote recalcitrante e corse verso la sua preziosa auto per chiudere la capotte e riportarla al sicuro in garage.

Non appena Angelo si allontanò, il bambino smise di piangere e, quando lo zio ebbe ritirato la decappottabile, il sole era rispuntato in cielo.

Da quel giorno, Pluf smise le lezioni di ginnastica e iniziò i corsi di nuoto, in cambio promise di evitare i capricci.

Passò qualche anno e Pluf aveva mantenuto la sua promessa così bene, che tutti avevano dimenticato l’effetto devastante delle sue arrabbiature, fino al giorno in cui gli dissero che doveva partire, da solo con lo zio, per un paese straniero, mentre papà e mamma li avrebbero raggiunti più tardi.

Nessuno spiegò al bambino che la famiglia si sarebbe spostata per motivi di lavoro, che avrebbero avuto una nuova casa, dove sicuramente avrebbero incontrato nuovi amici e che lui doveva andare con lo zio perché i suoi genitori erano occupati nel trasloco e li attendeva un viaggio faticoso con il camion.

Nessuno spiegò niente a Pluf e Pluf si disperò.

Salutò con gli occhi bassi il papà e la mamma e andò all’aeroporto con lo zio. Scese dal taxi, passò la dogana, ma quando fu al gate, calde lacrime iniziarono a rotolargli sulle guance, mentre fuori cominciava a cadere una leggera pioggia.

Salì sull’aereo e il suo pianto si fece disperato. Il cielo iniziò a ribollire di nuvoloni sempre più neri; Pluf diede vita a un vero e proprio capriccio, e i lampi si misero a saettare intorno a loro.

Lo zio Angelo si spaventò e allora si ricordò di quando Pluf si rifiutava di andare in palestra e comprese che, se volevano partire, doveva riuscire a calmare il nipote.
– Adesso la smetti immediatamente – gli disse – altrimenti l’aeroplano precipiterà e moriremo tutti!-

Allarmato, il bambino si ammutolì, i tuoni cessarono e l’aereo decollò.

Quando raggiunsero le nubi, però, Pluf guardò giù e rincominciò a piangere e il veivolo si mise a sobbalzare per le turbolenze.
– Devi finirla di comportarti da moccioso frignone – lo scrollò lo zio.

Ma Pluf pianse più forte e gli scossoni sull’aereo si susseguirono sempre più vicini, mentre la gente incominciava ad urlare, attirando l’attenzione della hostess.
Lo zio Angelo era ormai terrorizzato:
– Se non smetti precipiteremo, moriremo tutti e sarà solo colpa tua!-

Pluf trasse dei grossi respiri, cercando di calmarsi.
A poco a poco il velivolo smise di sobbalzare, riportando il viaggio alla normalità.

La hostess si avvicinò al bambino:
– Perché piangi tanto? gli domandò – hai paura?-
– Sto partendo senza papà e mamma e non so perché.- le rispose tirando su dal naso.

Finalmente zio Angelo comprese l’angoscia del nipote e gli spiegò della nuova casa, assicurandogli che presto sarebbero stati raggiunti da tutta la famiglia, cane incluso.
Pluf si asciugò gli occhi e un timido sorriso gli comparve sulle labbra tremolanti, mentre il sole faceva capolino fra le nubi e l’aereo atterrava dolcemente.

Mi scuso se il racconto é un po’ più lungo del solito, ma doveva durare il tempo necessario per coprire l’intero tragitto.

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12. GALILEO E ISACCO e Gaia

Gustav Klimt: Apfelbaum I (Melo I) – ca 1912.
Olio su tela 110 x 110 cm.
Collezione privata.

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La storia del giorno: giovedì 6 novembre.

Isacco e Galileo erano tornati dal mare e avevano ripreso a frequentare la scuola materna, dove scoprirono essere arrivata una nuova direttrice, la dottoressa Aceto.
Dopo alcune settimane la dottoressa convocò le insegnanti e il giorno seguente Isacco e Galileo furono divisi per la seconda volta, per facilitare uno “sviluppo autonomo delle loro personalità“.

Galileo capitò nel banco vicino a Gaia, una bimba che portava enormi occhiali arancio, disegnava benissimo e non rideva mai.

– Perché non dipingi un bel cielo, di notte? – le domandò.

– Ah, tu sei uno dei gemelli fissati con le stelle! –

Isacco, pensi che Gaia sia triste per via degli occhiali?” Comunicò al fratello, preoccupato dalla reazione della bambina.

“Magari non ha voglia di parlare” gli arrivò chiara la risposta del gemello.

Galileo continuò:

– Tu non hai fratelli?-
– Mi piace stare da sola –
– Allora vorresti andare sulla luna?-

Gaia sbuffò, ma il bambino non si arrese.

– Io ci sono stato sulla luna, però era un disegno, nemmeno troppo bello, perché io non sono bravo come te –

La bambina non alzò nemmeno gli occhi dal foglio e non gli rispose.

Il giorno dopo, si ritrovarono ancora vicini di banco.

– Perché non dipingi fiori di blu – suggerì Galileo a Gaia, sporgendosi a guardare il prato fiorito sul quaderno della bambina.

– Guarda che esistono tantissimi colori oltre il blu e il giallo – rispose indispettita puntando il dito sugli unici due pastelli sul banco del gemellino.

“Isacco, io sto provando a farla sorridere, ma non riesco proprio. Saranno gli occhiali troppo grossi che le danno fastidio?”

” Forse non vuole che tu le parli” poi il gemello gli propose: “Prova a portarla sull’altalena”

Così, appena uscirono in cortile, Galileo prese Gaia per mano e la fece salire sull’altalena.

– Stai tranquilla – le disse – ti spingerò io –
– Se vuoi ti farò andare in alto – continuò, reso audace dal silenzio di Gaia -Tu chiudi gli occhi e ti sembrerà di volare! –

– Io non voglio volare, voglio dondolare.- lo corresse.

– Se vuoi ti tengo io gli occhiali, così non avrai paura di perderli! –

Non penso che siano gli occhiali il suo problema” Isacco raggiunse i due bambini:
– Vieni Galileo, forse Gaia vuole stare sull’altalena da sola! – e, dopo avere rivolto un sorriso alla bambina, trascinò il fratello verso un gruppo di alunni, intenti a costruire un’astronave.

Il giorno seguente Gaia scelse di andarsi a sedere nel banco vicino a Galileo, che, tanto per cambiare, stava disegnando un mare di stelle.

– Prova con questo – gli disse, porgendogli un pastello del medesimo arancione dei suoi occhiali.

Poi lo guardò riempire il foglio di macchie colorate e si spostò più vicina.

– Ti aiuto – continuò e si mise a dipingere assieme a lui.

Stupito il bambino comunicò al gemello:
“Isacco, Gaia è venuta a cercarmi e mi sta insegnando a disegnare!”

Quando gli altri bambini corsero fuori dall’aula, loro non se ne accorsero nemmeno, tanto erano presi dal proprio lavoro.

Galileo stava fissando carta intensamente e…tutto intorno a lui divenne colore. Con curiosità e un pizzico di angoscia si rese conto di essere finito ancora una volta nel suo disegno. Immediatamente vide Gaia accanto a sé che si guardava intorno felice.

– Che bello qui! – gli disse e continuò a usare i suoi pastelli in modo frenetico, interrompendosi solo per aggiustare gli occhiali sul naso.
Quando ebbe finito, la bambina si spinse a curiosare in ogni angolo, mentre la sua bocca si apriva in un sorriso sempre più ampio:

– Ti piace? – gli chiese – Guarda quante sfumature …- E poi sospirò soddisfatta, a corto di parole.

Galileo corse con lei ad esplorare tutto intorno: – Grazie: il tuo cielo di prato e di fiori è bellissimo … – Si fermò : – Però adesso dobbiamo tornare, prima che ci cerchino – le ricordò.

Con il pastello blu segnò i contorni… e furono di nuovo in aula, dove li attendeva Isacco, che, sorridendo disse:

– Sai Gaia, mi piacciono proprio tanto i tuoi occhiali!- e tutti e tre si unirono ai giochi degli altri bambini.

Immagine tratta dal sito:
http://www.artdreamguide.com/_arti/klimt/_opus/518.htm