Pier Augusto Breccia: Chiesa universale – 2006
Pencil on paper: 57 x 45
Collezione privata – Viterbo
La storia del giorno: lunedì 20 luglio.
Dedicato alla mia amica fotografa Gianna C., che riesce a dare vita agli oggetti inanimati.
La storia cominciò.
Gianna portava sempre un cappellino.
Quando era estate la mamma le raccomandava:
– Gianna, metti il cappellino, altrimenti il sole ti brucerà il cervello!-
Se pioveva:
– Gianna, metti il cappellino, altrimenti la pioggia ti bagnerà il cervello-
Quando era inverno:
– Gianna, metti il cappellino, altrimenti il freddo ti gelerà il cervello!-
Così, quando Gianna andò a scuola, comprese fin dal primo giorno che doveva indossare una grossa fascia in testa, altrimenti tutte le idee le sarebbero scappate dal cervello.
Una mattina, a scuola venne il fotografo : la classe di Gianna fu fatta uscire in corridoio dove era stata sistemata una panca e i bambini furono disposti su due file: i più alti in piedi con la maestra e i più piccoli seduti davanti.
Il fotografo disse a Gianna:
– Tu, bambina con quel bel nastro azzurro in testa, siediti in mezzo e tieni ben in vista questa lavagna, in modo che si legga perfettamente la scritta : – PRIMA B.-
Fu in quel preciso istante che Gianna decise di diventare una fotografa.
Tornò a casa e aspettò con ansia il ritorno del suo papà.
Gli corse incontro:- Papà, papà mi presti la tua macchina fotografica?-
– Gianna, sei troppo piccola: aspetta qualche anno e poi te ne comprerò una tutta tua.-
Gianna, però, non voleva aspettare qualche anno.
Venne la fine della scuola e alla bambina, che ogni giorno aveva indossato una splendida fascia colorata fra i capelli per conservare tutti gli insegnamenti ricevuti, fu consegnata una bellissima pagella, con tanti complimenti dalle maestre.
I suoi genitori, orgogliosi, decisero di premiarla e le regalarono proprio una macchina fotografica tutta sua: poco più di un giocattolo, ma perfettamente funzionante.
Gianna fotografò: fotografò la mamma, fotografò il papà, fotografò il cuginetto, la vicina di casa, la portinaia, il gatto sulle scale.
Poi, finalmente, guardò il risultato e per poco non scoppiò a piangere. Era tutto così fermo, cosī immobile; solo le scale sembravano vive: apparivano un po’ storte sotto alle zampine del gatto, i gradini leggermente sghembi, alcuni più alti e altri più stretti e la ringhiera contorta e sinuosa come un serpente.
Gianna andò a mettersi la sua fascia più larga del colore dell’iride, si fece un nodo bellissimo e ben stretto sopra ai capelli, quindi ripartì alla ricerca di un nuovo soggetto.
Alla fine lo trovò : su una mensola un po’ in ombra, un cagnolino di ceramica la guardava triste con le orecchie a penzoloni e la fronte rugosa.
Gianna fotografò: fotografò il cane dal basso, dal fianco, di muso e di spalle, fotografò senza fermarsi finché si accorse che la coda del cucciolo si stava muovendo e, dopo un istante, il cagnolino di ceramica alzò il suo sguardo su di lei e abbaiò festoso.
– Ma tu sei vivo! – esclamò Gianna e iniziò a grattarlo dietro le orecchie.
Il cucciolo soddisfatto abbaiò ancora.
– Zitto, altrimenti la mamma ti sentirà!-
La mamma, però, aveva l’udito acuto:
– Gianna – chiamò – che cosa succede? – mentre si dirigeva verso il soggiorno.
– Sta fermo!- intimò la bambina – e non emettere alcun suono!-
Il cagnolino di ceramica continuò a scodinzolare.
Gianna diede una stretta al fiocco fra i capelli e, immediatamente, ebbe un’intuizione brillante: afferrò la macchina fotografica, cercò il pulsante di spegnimento e, non appena lo schiacciò, il cucciolo ritornò immobile, con le orecchie a penzoloni.
La bambina emise un sospiro di sollievo mentre la mamma la raggiungeva:
– Sempre a fotografare! – le disse.
Gianna, uscendo dalla stanza, lanciò un ultimo sguardo al cagnolino e fu certa di scorgere nei suoi occhi una luce gioiosa che prima non aveva.
Immagine tratta dal sito: http://www.pieraugustobreccia.com/#!chiesa-universale/zoom/c179w/i9bxa